Dipartimento di Italian Design Institute
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La moda etica e sostenibile con coscienza celebra la vita

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Una coscienza umana totalmente nuova percorre oggi le nostre strade; una coscienza che si misura con i temi tanto sensibili quanto attuali legati all’importanza della conservazione del delicato equilibrio ambientale e della biodiversità del nostro fragile pianeta. Il risultato incredibile è la nascita di una vera e propria consapevolezza ecologica che però, molto spesso fa i conti con una realtà in cui la tutela dell’ambiente rimane ancora una questione drammaticamente aperta. La realtà dei fatti è che la coscienza ambientale non basta: non c’è cambiamento senza conoscenza, la quale non implica necessariamente che il modo in cui ci relazioniamo all’ambiente debba essere considerato senza biasimo. La nostra distanza dalla natura è data dalla nostra libertà di pensiero e di azione; il vero problema è dimostrare che, per quanto gli esseri umani godano del diritto di scelta, essi hanno il dovere di rispettare la natura, se non altro nei confronti della stessa umanità.

La sostenibilità e l’eticità: binomio inscindibile

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L’ecosistema della sostenibilità è estremamente complesso; per tale motivo, per conoscerlo davvero, è necessario fissare alcuni punti. In particolare, che cosa significa parlare di eticità e di sostenibilità? Parlare di moda etica e di moda sostenibile, ad esempio, è la stessa cosa? Sì e no. Vediamo perché.
In opposizione all’industria del fast fashion, negli ultimi anni si è fatto strada un movimento alternativo per la tutela del nostro Pianeta e dei suoi delicati equilibri: la moda etica e sostenibile, che cerca di abbracciare nuove regole. Nel caso dell’industria della moda, però, questa può essere alle volte etica ma non sostenibile, e viceversa. Ad esempio, possiamo tutti condividere che la lotta contro la fame nel mondo ha un fondamento etico ma è anche innegabile che la soluzione a tale problema possa comportare un impatto negativo.

Il “Made in Dignity”

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La moda etica, sostanzialmente, è quella che sceglie di dare importanza a chi è coinvolto nel processo di lavorazione di un capo. Istintivamente, ci verrebbe da pensare solo a chi fisicamente taglia e cuce i vestiti; ma il percorso che porta i capi nei negozi è decisamente più lungo e complesso. Prima di essere confezionato e di diventare un abito, il tessuto è infatti stato filato, e ancora prima c’è stato qualcuno pagato per raccogliere le materie prime, come ad esempio i fiocchi di cotone, per tosare la lana, per filare e lavorare il lino o la seta. Se da un lato il settore tessile, quindi, offre lavoro a tantissime persone, è vero anche che, a causa della pressione dovuta agli alti consumi, troppo spesso la manodopera che lavora in questo segmento vede lesi anche i più basilari diritti: da uno stipendio dignitoso, a orari sostenibili fino ad arrivare al tema sicurezza; ecco perché parliamo di impatto sociale della moda, non solo di impatto ecologico. Per garantire una moda focalizzata sull’etica e sulla responsabilità, alle aziende quindi è richiesto un certo livello di trasparenza che non si limita al noto “made in”; giocare a carte scoperte significa rendere pubbliche le informazioni che riguardano tutta la sua trafila: più il livello della catena arriva in profondità, più si rende visibile in quali condizioni lavorano le persone coinvolte.

Alte prestazioni e basso impatto ambientale: i principi base della sostenibilità

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In una conferenza in Svizzera, la Commissione Economica Europea ha rivelato i numeri dell’inquinamento dell’industria fashion.
La moda è responsabile del 20% dello spreco globale di acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica, senza tralasciare le emissioni di gas serra con gli spostamenti delle merci da un capo all’altro del mondo. Le coltivazioni di cotone sono la casa del 24% degli insetticidi usati nel mondo e dell’11% di pesticidi; inoltre l’85% dei vestiti prodotti va a finire dritto in discarica: dopo Oil&Gas, secondo questi dati, l’industria tessile è la più inquinante, complice la fast fashion che impone non solo un frequente cambio di guardaroba ai consumatori, ma anche un eccesso di produzione non indifferente alle aziende. Infatti, ogni anno vengono prodotte moltissime collezioni e moltissimi capi che non vengono tutti venduti e, quelli che rimangono, spesso, vengono bruciati.
Nel 2015, addirittura, è stato calcolato che sono stati prodotti circa cento miliardi di capi e in particolare, a far discutere sono stati i trentaquattro milioni di abiti Burberry e le sessanta tonnellate di abiti nuovi H&M finiti al rogo; entrambi i brand hanno promesso di non ripetere più lo stesso errore: less is more.

Good on you: 5 consigli per seguire la moda sostenibile

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  1. Acquistare meno e meglio: puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità;
  2. Ridurre i lavaggi preferendo la lavatrice che consuma meno acqua;
  3. Prediligere le fibre naturali senza poliestere, sintetico e acrilico;
  4. Favorire il vintage, gli outlet, le vecchie collezioni;
  5. Non gettare nulla! Gli indumenti si riciclano, si regalano, si lasciano negli appositi contenitori adibiti alla raccolta.

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